Schubert senza chitarra: storia di un amore non corrisposto

Nicoletta Confalone – Un angelo senza paradiso – Ut Orpheus

Alcuni anni fa Nicoletta Confalone, chitarrista e musicologa, intraprendeva una ricerca avventurosa in un regno visitato da pochi: Schubert e la chitarra. Ora il suo libro Un angelo senza paradiso. La chitarra alla ricerca di Schubert, è stato pubblicato da Ut Orpheus e presentato tra l’altro nella stagione di Musica da Leggere, nella Biblioteca del Conservatorio di Milano.

Ebbe mai Schubert a che fare con la chitarra? Forse sì, forse no. Certo è che non abbiamo testimonianze certe. L’unica certezza è la nostalgia che i chitarristi hanno provato per Schubert.

Il titolo del libro è tratto da un film “d’amore e di musica” diventato celebre molti anni fa, nel 1933 in Germania. Leise flehen meine Lieder, era il titolo tedesco che in italiano diventò Angeli senza Paradiso. Il film tedesco porta nel titolo il primo verso della famosa Ständchen, la Serenata che Franz aveva composto come quarta canzone nel suo Schwanengesang.

Il giovane compositore entrava nel mondo di celluloide dell’immaginario tedesco con una vicenda tratteggiata da Walter Reisch. La regia era di Willi Forst. Ed eccolo, nella prima scena del film, costretto a vendere la sua chitarra per ragioni economiche e poggiarla sul banco di un monte dei pegni per pochi spiccioli. Dunque Schubert nell’immaginario collettivo possedeva una chitarra. Anche se la notizia è scarsamente attendibile, affermano gli studiosi.

Angeli senza Paradiso è anche il remake italiano della vicenda schubertiana, protagonisti Romina Power e Al Bano, diretto dal regista Ettore Maria Fizzarotti nel 1970. Oltre ad essere il titolo di due libri: la traduzione italiana di un libro del musicologo francese Théodore Gérold che indaga sulle vicende biografiche di Schubert e un romanzetto rosa tratto dalla trama del film. Scarsamente attendibile ancora una volta sotto il profilo musicologico.

Ma è proprio questa inattendibilità a rendermelo caro, scrive Nicoletta Confalone, perché il titolo di quel romanzo ben sintetizza il percorso che si dipana nel libro.

Il volume invero è un saggio-racconto estremamente curato dove praticamente non manca nulla. L’indagine sui possibili incontri di Schubert con la chitarra è svolta con sincera e inesausta passione e perizia accademica. Una autentica delizia per chi ama lo studio del particolare, della notizia, del dettaglio.

Pensare di scrivere un saggio su qualcosa che non c’è, o per lo meno di cui si è solo vagheggiato, è una sfida senza dubbio ardita, soprattutto in un periodo in cui intraprendere la strada della saggistica è di per sé una sfida. L’impresa di Nicoletta Confalone però non è temeraria, perché dentro c’è tutto il mondo degli appassionati e dei grandi studiosi di Schubert. La Sehnsucht, la nostalgia fu un sentimento assai caro a Schubert, che scrisse nel suo diario: “per lunghi anni cantai canzoni. Cantavo l’amore e si trasformava in dolore. Se cantavo il dolore, allora diventava in amore.”

La nostalgia fu quella degli amici che dovettero accettare la perdita dell’amico appena trentunenne, la nostalgia fu quella di coloro che avevano riconosciuto il genio in un’epoca che “annienta chi si permette di osare”, come scrisse ancora Schubert. La nostalgia fu di chi cercò e cerca tuttora di ricostruire una biografia che non c’è mai stata, perché la memoria degli amici svanì prima di essere messa sulla carta.

La presenza della chitarra in Schubert è un evento che sembra sempre annunciato, ma mai testimoniato. Il libro di Nicoletta Confalone coglie tutti questi accenni e li porta alla luce. Ciò che prima era un’incognita ora non lo è più. Il Liuto appeso alla parete, che compare nel ciclo della Bella Molinara,  è sempre lì a ricordarci che forse Schubert una chitarra ce l’aveva, forse l’aveva qualcuno dei suoi amici:

un “gruppo d’interno” ci rappresenta Schubert con un amico che viene a trovarlo di solito la mattina, quando Franz scrive e si siede con lui a parlar di musica e a provare le sue canzoni sulla chitarra. Anche questa è una memoria flebile, quella di un padre che l’ha raccontato al figlio, e poi il figlio l’ha raccontato, tanti anni dopo…

Già perché se si parla di chitarra nell’esistenza di Schubert, è solo per immergerci più che mai nelle ombre della sua vita quotidiana.

Schubert non ebbe mai un’esistenza pubblica, le sue apparizioni sono sempre in contesti privati, tanto privati da esser diventati un genere: le schubertiadi. Erano incontri musicali nei salotti di amici, ma soprattutto un modo di essere, speciale, al riparo dai grandi avvenimenti, dai grandi personaggi, sempre in sintonia con la natura, e con l’animo dell’uomo che attraverso la natura vive la sua vita, tutti i giorni. Schubert ci appare così.

Che Schubert fosse un chitarrista per necessità, ossia che componesse alla chitarra, è una cosa cui molti hanno prestato fede. La chitarra era uno strumento diffuso e c’è ampio motivo di pensare che in quelle schubertiadi spesso all’aperto, sulle colline viennesi, non ci fosse almeno un partecipante con la chitarra ad accompagnare le canzoni.

Moritz von Schwind – Schubert e i suoi amici (1862)

In questo disegno di Moritz von Schwind, pittore e assiduo frequentatore della cerchia schubertiana, la chitarra non c’è, ma potrebbe… in una riunione all’aperto di cui è inquadrato solo un particolare, l’angolo del tavolo dove siedono tre amici, Lachner, Schubert e Bauernfeld. Stanno assaggiando il vino novello e tra poco forse intoneranno una canzone o progetteranno un libretto teatrale.

Lo studio di Nicoletta Confalone dunque parte da queste immagini di ragazzi che usano far musica insieme e cantare. Ma la ricerca si avvia subito in territori inusuali, allora dopo poche pagine di lettura ecco che entriamo nell’atelier di Degas per scoprire un piccolo quadro che ritrae un tenore catalano mentre intona una canzone accompagnandosi con una chitarra. Seguendo il tenore, che è Lorenzo Pagans, entriamo nella sua biblioteca dove c’è una raccolta di melodie di Schubert. Da quelle melodie risaliamo la corrente delle trascrizioni e torniamo sul palcoscenico di Vienna, dove vive e lavora un chitarrista di fama internazionale come Giuliani. Dopo uno sguardo su quel periodo che conobbe davvero l’idillio tra Vienna e la chitarra, abbandoniamo la scena illuminata del teatro per immergerci nella penombra domestica. In una casa della periferia di Vienna, Schubert e i suoi fratelli celebrano l’onomastico del padre con una Cantata per tre voci maschili con accompagnamento di chitarra. Schubert aveva sedici anni ed era il 1813.

Il cuore della vicenda è occupato dalla vicenda del ritrovamento di un Trio per flauto, chitarra, viola e violoncello, nel 1918, a Zell am See, in una casa di campagna. Il manoscritto porta una data e una firma: Franz Schubert, 26 febbraio 1814. La vicenda è troppo intensa e fitta di colpi di scena per essere raccontata in poche immagini. Sia detto però che tutti fanno la loro parte. L’ambientazione da romanzo di Agatha Christie, un vecchio zio che si chiama Ignaz e che era funzionario della Zecca di Vienna, l’amore per la musica, le radici nel cuore di quella città di funzionari statali votati alla musica. E poi gli accademici e i musicisti, gli uni prudenti, gli altri subito entusiasti. Intorno il coro degli appassionati, degli strumentisti che sì, forse hanno trovato il bandolo della matassa. Il capo da cui iniziare a svolgere una matassa che pareva inestricabile. Il lieto fine è incerto e devono passare degli anni. Intanto arrivano gli anni Venti e con essi, nel mondo frastornato del dopoguerra, si accendono le luci, si aprono le sale da concerto a nuove Schubertiadi. Ma un Poirot si aggira fra gli schubertiani, e prima che gli anni Venti si concludano Otto Erich Deutsch, il più grande dei filologi, ha emesso la sua sentenza.

E’ una storia tutta da scoprire. La seconda parte del volume è dedicata al dopo Schubert. Schubert a Vienna, a Parigi, in Russia e in Spagna. Il tutto arricchito dalla traduzione dei documenti, un’appendice interessantissima e una bibliografia importante.

Ecco dunque perché leggerlo è un gran piacere, perché il libro parla a tutti, agli studiosi e a chi ama la musica e la sua storia. Nelle strade di Vienna ritroviamo quella Vienna che fu di Schubert e da quando fu sua è diventata anche nostra, perché ci ha offerto un modo per guardarla.

Scrivere e leggere saggi, e ancor più trarne esperienze di vita, sembra essere ormai una occupazione che si esercita per passione, un culto laico di persone che hanno a cuore la ricerca, l’interrogativo, il dubbio. Nicoletta Confalone ci conferma che se facciamo parte di questa schiera di persone ci troviamo in un bel paese, e ognuno può seguire – secondo le proprie inclinazioni, una tra le mille vie che incontriamo, sicuri di camminare su un territorio che presto o tardi ci svelerà i suoi segreti.