L’Orchestra femminile di Auschwitz

Di quel male che per noi continua ad essere inimmaginabile

La foto porta scritto Crakovia 1994. E ritrae tre signore sulla settantina, di cui ben si conosce il nome. Sono Helena Dunicz Niwinska, Anita Lasker Wallfish e Zofìa Cykowiak.

Le tre donne sorridono alla macchina fotografica, tre testimoni del campo di Auschwitz, dove sono sopravvissute probabilmente per una coincidenza inimmaginabile: erano tutte e tre musiciste e fecero parte dell’Orchestra femminile di Birkenau e sono passati tanti anni dalla Shoah. Ognuna di loro ha raccontato, in anni successivi, quell’esperienza che il grande pubblico ha conosciuto nel 1980, grazie al libro e di un’altra detenuta, Fanja Fénelon da cui è stato tratto un film Playing for time, diretto da Daniel Mann e sceneggiato da Arthur Miller. Helena era una delle più anziane del gruppo e suonava il violino, dopo la guerra si dedicò all’editoria musicale. Zofia, violinista anche lei, dopo il trauma della detenzione non ha più preso in mano lo strumento. Anita suonava il violoncello, e ha contribuito a fondare la ECO di cui è stata primo violoncello e solista.

Una scena del film “Playing for Time”

La vita musicale che si sviluppò ad Auschwitz porta i segni di tutto il dramma del campo, il simbolo più crudele del genocidio compiuto dai nazisti. In verità Auschwitz non era un campo, ma un complesso vastissimo, il più vasto dell’organizzazione nazista. Al suo interno c’erano due centri principali e circa cinquanta campi satellite, distanti anche decine di chilometri. Il campo Auschwitz I, diventato il nucleo dell’intero complesso, fu costituito nel 1940, il Campo di Auschwitz II (Birkenau) l’anno successivo. Era il luogo più distruttivo di tutto il sistema nazista.

“Di regola, quando un trasporto arrivava alla rampa di Birkenau vi era un comitato di uomini delle SS che facevano una selezione immediata tra chi doveva entrare nel campo e chi doveva andare dritto nella camera a gas”, raccontò Anette Lasker Wallfish. Molti che superavano questa prima selezione non sopravvivevano alla vita nel campo. Su 400.000 che vennero scelti per i lavori forzati ne sopravvissero solo 200.000 e molti che lasciarono il campo, non fecero in tempo a vedere la liberazione, morirono in altri campi o persero la vita negli ultimi giorni di guerra. La politica nazista era quella della Vernichtung durch Arbeit, distruzione attraverso il lavoro. La regola dei carnefici, da parte loro, era non dimostrare mai sentimento alcuno.

La prima orchestra maschile era stata formata nel campo di Auschwitz I nel dicembre del 1940, dopo l’arresto di un intero ensemble della radio polacca. Con il tempo le orchestre divennero sei, una di queste contava oltre cento elementi.

Nel 1942 si formò un’orchestra maschile nel campo di Birkenau. Nel mese di aprile del 1943 si parlò di fondare anche una orchestra femminile, sempre a Birkenau dove le attività erano governate da Maria Mandel e dal comandante Franz Hössler.

Maria Mandel era Oberaufseherin, capo della sorveglianza delle SS del campo femminile. Alta, bionda, impeccabile nella divisa nazista, era originaria di Münzkirchen nell’Austria Superiore, era nota per la sua fanatica ammirazione per la bellezza e l’amore per la musica, ma soprattutto per la sua brutalità. Era soprannominata “la bestia di Auschwitz”. Shirli Gilbert, studiosa inglese autrice di un fondamentale libro Music in the Holocaust, spiega la logica contorta che stava dietro la creazione di queste orchestre, che si chiamavano Lagerkapellen.

“Era diventato un punto d’orgoglio che i comandanti dei campi volessero un’orchestra”.

Tuttavia, la formazione di un’orchestra richiedeva un grande sforzo organizzativo. Un’indagine sugli archivi dell’ufficio mostrò che un certo numero di donne polacche conoscevano la musica e suonavano strumenti, si fecero annunci. Tra le prime a rispondere, insieme a Stefania Baruch, mandolinista e chitarrista, e altre due violiniste, c’era stata la prigioniera polacca Sofia Tchaikowska. Tchaikowska, anche grazie all’assonanza del suo cognomne con quello del grande compositore, ottenne il ruolo di direttrice dell’orchestra. Era violinista e reclutò altre suonatrici da diverse baracche e dalle nuove arrivate nel Blocco di Quarantena. Nel maggio 1943 ebbe un ensemble di quindici elementi. Ora bisognava procurarsi spartiti, strumenti e altre attrezzature. Auschwitz si rivelò un luogo conveniente per ottenere questi oggetti. C’erano magazzini immensi che chiamavano Kanada. Sofia Tchaikowska raccontò: “Hanno accettato di fornirci violini e tutti gli strumenti necessari in abbondanza. C’erano migliaia di strumenti provenienti da tutta Europa da deportati che erano stati incoraggiati a portare con sé i loro beni mobili più preziosi, ignari del fatto che all’arrivo sarebbe stato loro tolto tutto. Persino gli spartiti che portavano con sé venivano utilizzati dalle orchestre del campo. Auschwitz era ormai la Fort Knox d’Europa, con tutti i beni sottratti alle persone negli innumerevoli trasporti che arrivavano ai campi…”

All’inizio l’orchestra era un gruppo più che improvvisato e il repertorio era modesto e consisteva in poche melodie che andavano di moda al tempo. Tchaikowska si affidava alla memoria e arrangiava i brani di cui recuperava gli spartiti. Reclutava copisti ed era pronta a sempre nuove modifiche. I pezzi dovevano poter essere suonati da qualsiasi combinazione di musicisti. Le condizioni restavano quelle drammatiche del campo: ogni giorno era una guerra per sopravvivere e di tanto in tanto si creavano dei “buchi”, spariva uno strumento o peggio una strumentista, magari deportata in un altro campo, o peggio. Nella maggior parte dei casi, i copisti arrangiavano la musica da partiture di pianoforte o a memoria. Inoltre, dovevano armonizzare e arrangiare le melodie scelte dagli ufficiali delle SS.

Alla fine del giugno 1943, l’orchestra contava circa venti musiciste. Le ragazze ebree erano poche: Sylvia Wagenberg che suonava il flauto dolce, e la sorella Carla, flautista anche lei, e Hilde Grünbaum, che suonava le percussioni e il mandolino come Helen Spitzer, una delle “anziane” al campo. Portava il numero 2286, ed era in verità una artista grafica. Le compagne la conoscevano come Zippy, perché utilizzava in segreto il suo nome ebraio Zipporah, che non era noto alle autorità.

L’orchestra fu il primo incontro con il campo per molti detenuti. I treni arrivavano direttamente a Birkenau e venivano accolti dall’orchestra. Poi l’orchestra dovette suonare marce per le uscite mattutine e i rientri serali dei lavoratori. 

Primo Levi:

“I motivi sono pochi, una dozzina, ogni giorno gli stessi, mattina e sera: marce e canzoni popolari care ad ogni tedesco. Esse giacciono incise nelle nostre menti, saranno l’ultima cosa del campo che dimenticheremo: sono la voce del Lager, l’espressione sensibile della sua follia geometrica, della risoluzione altrui di annullarci prima come uomini per ucciderci poi lentamente.”  

Non ci si può nascondere che queste orchestre, afferma Shirli Gilbert, avessero un ruolo prezioso nel processo di sterminio, aiutando le operazioni a svolgersi senza intoppi e contribuendo al mantenimento della disciplina e dell’ordine: fornivano un ritmo che aiutava a tenere il passo delle colonne di prigionieri in marcia, facilitava la divisione nelle sessioni di marcia, rendeva i prigionieri più facili da contare, e la marcia poteva essere condotta in modo ordinato ed efficiente. Quello era il punto di contatto più frequente tra l’orchestra e i prigionieri.

Le musiciste erano del tutto consapevoli del ruolo che interpretavano in quello scernario di morte. Rachela Olewsky Zalmaniowitz raccontò come una delle sue compagne, una contrabbassista greca Yvette Assael, da poco arrivata a Birkenau un giorno scoppiò in lacrime quando insieme alle altre fu costretta a suonare all’arrivo di nuove detenute. Quel giorno venne espressamente minacciata di morte da un ufficiale delle SS.

Nomi che sono persone e storie. Rachela era arrivata ad Auschwitz con il padre e il fratello, il padre fu ucciso, loro furono salvati. Lei aveva suonato il mandolino alla scuola elementare, entrò nell’orchestra. Yvette era una delle migliaia di ebrei greci imprigionati dai tedeschi. I suoi genitori anche loro uccisi appena arrivati al campo, lei con la sorella e il fratello si erano salvati. Il fratello Michael suonava nell’orchestra maschile, la sorella, Lily, pianista che in orchestra suonava la fisarmonica, convinse le autorità che Yvette avrebbe potuto benissimo suonare il contrabbasso e così fece. La quindicenne Yvette prese lezioni da un componente dell’orchestra maschile in cui suonava il fratello e superò la prova. Venne accettata. Lilly Assayal, la pianista, sarà la prima insegnante di pianoforte di Murray Perahia.

“Al principio eravamo davvero un’orchestra terribile, racconta Anita Lasker, quasi tutti erano dilettanti. All’interno eravamo solo quattro o cinque in grado di suonare davvero. Helene Scheps fu una delle prime musiciste veramente qualificate ad entrare in orchestra. Aveva studiato il violino dall’età di otto anni in Belgio, dove la famiglia aveva cercato rifugio. Per un periodo aveva studiato con la moglie di Eugène Ysaÿe. Era già primo violino dell’Orchestra quando nel mese di agosto del 1943 arrivò al campo Alma Rosé, una celebrità della musica europea, quasi una leggenda. La direzione dell’orchestra venne affidata a lei e il cambio fece su tutte grande impressione. Aveva credenziali familiari straordinarie, nipote di Mahler, e figlia di Arnold Rosé fondatore e primo violino del quartetto che portava il suo nome. Era una violinista eccellente e aveva fatto il suo debutto a Vienna il 16 dicembre 1926, nella Sala Grande del Musikverein.

Alma e Arnold Rosé, data sconosciuta. Foto: Gustav Mahler–Alfred Rosé Collection, Music Library, Western University, London, Canada

Con lei molte cose cambiarono. Innanzitutto Alma riuscì ad ottenere condizioni esistenziali migliori per tutte le componenti dell’orchestra e se a lei venivano riservati dei privilegi, lei ottenne che gli stessi fossero riservati anche alle altre musiciste. Molto probabilmente furono la serietà e l’impegno che Alma profuse in quell’incarico che cambiarono drasticamente le condizioni di vita per tutte. Grazie all’intervento del comandante Kramer, dell’ufficiale SS Hössler e Maria Mandl, che supportavano Alma Rosé, venne destinata alle musiciste una intera sezione all’interno del Blocco 12, con stanze separate per Alma e per la più anziana delle componenti, una sala prove, con un podio e dei tavoli per le copiste. Ognuna aveva un proprio letto, cosa che era considerata un lusso dato che i prigionieri venivano fatti dormire in specie di scaffali in cui tutti si stipavano come sardine. Anche le condizioni igieniche erano molto diverse. “Potevamo fare una doccia al giorno” cosa davvero incredibile. Infine non erano più costrette a fare altri lavori che non fossero inerenti agli impegni musicali. Ebbero uniformi nuove e Rosé riuscì anche ad ottenere una stufa per mantenere gli strumenti alla giusta temperatura e chiese alle SS di non far suonare le ragazze all’esterno quando il tempo era troppo inclemente. C’era perfino la possibilità di ricevere qualche supplemento di cibo quando suonavano per avvenimenti privati degli ufficiali. Infatti le orchestre suonavano anche per le guardie naziste, per serate o in occasione di cerimonie, come il compleanno di Hitler o altre festività o persino i compleanni degli ufficiali SS. In questi concerti, il repertorio era più sofisticato rispetto alla musica suonata durante le sessioni di marcia.

Anita Lasker Wallfish ci ha lasciato il racconto del suo arrivo nel campo e dell’incontro con Frau Alma in un libro Inherit the truth, Ereditate la Verità.

Arrivammo ad Auschwitz Birkenau la sera. Fummo portate in una baracca e lì dovemmo aspettare. Quando cerco di rammentarmi delle mie prime impressioni di Auschwitz, mi vengono in mente figure scure con dei mantelli, cani che abbaiano e un gran gridare. Noi, io e le mie compagne di viaggio, aspettammo fino all’alba. Non ero consapevole allora di aver già superato il primo ostacolo. Alla prima luce dell’alba ci trasferirono in un’altra baracca… lì vi fu la cerimonia di benvenuto, la mia testa fu rasata e il numero 69388 fu tatuato sul mio avambraccio sinistro. … Durante questa iniziazione …le detenute che svolgevano queste operazioni ci bombardavano di domande. Non so cosa mi indusse a dire alla ragazza che si occupava di me che suonavo il violoncello. Poteva sembrare un’informazione superflua in quelle circostanze, ma lo dissi e la reazione fu del tutto inaspettata. E’ fantastico, disse, e mi afferrò. Stai qui da una parte. Verrai salvata. Devi aspettare qui… feci come mi disse. Stavo in piedi stringendo uno spazzolino da denti, cosa che, anche se all’epoca non me ne rendevo conto, era di per sé un privilegio. Non so per quanto tempo stetti ad aspettare. Il Block era ormai deserto e aveva un aspetto che assomigliava orribilmente a come mi raffiguravo una camera a gas: dal soffitto pendevano le docce…Tuttavia le cose andarono diversamente…Tutto ciò che successe fu che entrò una bella signora con una giacca di pelo di cammello e un foulard in testa. Non avevo idea di chi potesse essere. Era una guardia o una detenuta? Era così ben vestita che fui del tutto sconcertata. Mi salutò e si presentò come alma Rosé. Era felicissima che io suonassi il violoncello e mi chiese da dove venissi e con chi avevo studiato e così via. Il tutto era come un sogno. L’ultima cosa che mi sarei immaginata del mio arrivo ad Auschwitz era di avere una conversazione sul fatto che io suonassi il violoncello. Inoltre ero sempre nuda con lo spazzolino da denti stretto tra le mani.…Iniziò quindi sia la mia carriera come unica violoncellista dell’orchestra del Lager, sia la mia vita in questa piccola comunità. C’era Hélène, la petite Hélène, francese che suonava il violino, e “la grande” Hélène che era belga ed era primo violino, poi Violette ed Elsa, e Hilde che divenne una cara amica.

Alma Rosé dirigeva l’orchestra del Lager in ogni senso. Subito dopo averne preso le redini congedò alcune musiciste selezionate dalla Tchaikovska e ne scelse altre.  Una delle prime a beneficiare del cambio fu Violette Jacquet, in futuro Silberstein. Disse che Alma le aveva salvato la vita. Infatti è vissuta a lungo ed è morta a Parigi nel 2014. Nessuna comunque venne esonerata dal lavoro per l’orchestra. “Ogni scusa era buona per cercare di salvare più persone possibili e accoglierle nel nostro rifugio relativo”, scrive Anita, e aggiunge “uno degli aspetti insoliti del Block della musica era che ebrei e ariani vivevano insieme, anche se era una specie di Torre di Babele in cui si parlava polacco, russo, tedesco, francese, greco e con alcune poco ci si capiva.Vennero accolte anche persone che non sapevano suonare affatto. Il loro compito consisteva nel copiare gli spartiti. Erano le Notenschreiberinnen, le copiste di musica”. “Con Alma come direttore, il repertorio dell’orchestra si ampliò notevolmente. Oltre alle consuete marce militari, alla musica da camera e ai valzer viennesi, venivano suonate opere, operette, foxtrot, canzoni gitane, hit e “jazz tedesco”.

L’orchestra raggiunse quasi i 50 membri. Fu quello il periodo in cui in orchestra rimase per qualche tempo Ester Bejarano, conosciuta in Italia come la ragazza con la fisarmonica. Alma, racconta Anita Lasker wallfish, era l’esempio supremo dell’istinto di sopravvivenza. “Ciò che più spiccava in lei era la sua forte personalità. Incuteva un rispetto assoluto non solo alle orchestrali, ma anche alle SS. La sua posizione nel Lager non aveva precedenti. Se mai qualcuno si confrontò con una sfida impossibile, questo qualcuno fu Alma. L’età media dell’orchestra era 19 anni, ma qualcuna di anni ne aveva 14, qualcun’altra 36, come Alma. Lei aveva già superato una situazione inimmaginabile, nell’infame baracca 10, del dottor Clauberg, dove si svolgevano esperimenti sulla sterilizzazione, e dove Alma era sopravvissuta suonando tutte le sere in una sorta di grottesco cabaret per le SS. Ora, nella nuova posizione, si dedicò all’orchestra con la professionalità di una virtuosa che accetta solo gli standard più elevati e si gettò in questo lavoro con un fervore che, date le circostanze, sembrava assurdo. Non bisogna dimenticare che fuori da quel piccolo mondo le camere a gas continuavano ininterrottamente la loro attività. Alma era di un rigore inesorabile. “Ancora oggi non so se la sua fosse una scelta o se agisse d’istinto, ma con questa disciplina ferrea riuscì a distogliere la nostra attenzione da ciò che avveniva fuori della nostra baracca, dai camini fumanti e dalla profonda miseria della vita nel campo, per focalizzarla su un fa naturale che avrebbe dovuto essere un fa diesis…” Forse questo era il suo modo di salvaguardare la sua salute mentale e … contribuì di conseguenza preservare l’integrità mentale delle sue orchestrali. Tutte le domeniche teneva un concerto a volte all’aperto, altre nell’infermeria. Inoltre dovevano sempre essere pronte a suonare per qualsiasi SS che venisse nel Block, e fu così che Anita un giorno suonò Träumerei di Schumann per il dottor Mengele.

Anche Fanja Goldstein, che conosciamo con lo pseudonimo di Fania Fénelon era entrata nell’orchestra del tutto casualmente, un giorno in cui Alma Rosé cercava una cantante capace di interpretare alcune arie da Madama Butterfly per un concerto privato dei capi nazisti. Fania si dimostrò la più compiuta delle musiciste e di certo fu l’orchestratrice migliore. Nulla è sopravvissuto degli spartiti dell’orchestra ma dalle memorie delle sopravvissute sappiamo che c’erano Marce Militari, la Serenata notturna di Mozart, il primo movimento del Concerto per violino di Brahms, la Ciaccona di Bach e la Sonata “Patetica” di Beethoven. Alma suonò anche Zigeunerweisen di Sarasate e un’infinità di Valzer e danze viennesi, eredità del suo passato con la sua orchestra femminile Die Walzermädel con cui aveva fatto tournées in tutta Europa. La musica di compositori ebrei era bandita, ma Alma suonò anche il primo movimento del Concerto di Mendelssohn.  Non tollerava la mediocrità e il suo complimento migliore era quando diceva: “Questo era discreto abbastanza per poter essere ascoltato da mio padre”. E si raccomandava che se qualcuna fosse mai riuscita a salvarsi dal campo, doveva cercare suo padre e raccontargli dell’orchestra.

Hilde Grünbaum disse, Alma era convinta che noi non suonassimo per i nazisti, ma per noi stesse, per sopravvivere. Tutto questo non fa che aprire degli interrogativi sul perché tanta crudeltà potesse trovarsi in persone che conoscevano, ascoltavano e forse amavano la musica. O che la musica potesse essere usata con tanta determinata crudeltà.

“Può della gente che ama la musica in questo modo, che piange quando la ascolta, essere allo stesso tempo capace di commettere così tante atrocità verso il resto dell’umanità?” Questo si chiede Szymon Laks, compositore e direttore d’orchestra ebreo polacco che alla metà del 1943 divenne il direttore dell’orchestra maschile di Birkenau.  Le sue memorie sono una delle voci più potenti e si oppongono alla convinzione mitizzata che la musica fosse in grado di infondere coraggio o fosse una sorta di “autodifesa mentale” per i prigionieri.  Laks definisce queste convinzioni “scandalose”.

E cita la testimonianza di una donna, Romana Duraczowa: “Rientriamo dal lavoro. Il campo si avvicina sempre di più. L’orchestra del campo di Birkenau suona delle marce veloci, dei fox-trot alla moda. Questo ci fa venire la bile. Quanto odiamo quella musica e quelle musiciste! Quelle bambole sono sedute, tutte in gonna blu  e camicia bianca, su delle seggiole confortevoli. Questa musica dovrebbe rinvigorirci, mobilitarci come il suono della tromba di guerra che durante la battaglia stimola anche i ronzini morenti.” Musica allegra che suona grottesca sul volto di esistenze disperate. 

“In nessun caso, scrive Laks, ho incontrato un prigioniero che abbia trovato coraggio nella nostra musica, la cui vita abbia contribuito a salvare. La musica sosteneva il morale, o meglio il corpo, solo dei musicisti che la suonavano. La medicina per i corpi devastati da malattie e fame non è la musica, ma il cibo, le cure”.

Alma non si faceva grandi illusioni sulle sue probabilità di salvezza ed ebbe ragione. Non riuscì ad uscire dal campo. Il 2 aprile 1944 fu convocata nell’ufficio delle SS e le fu detto che presto sarebbe stata mandata a suonare per i soldati al fronte. La sera stessa partecipò alla festa di compleanno di Frau Schmidt, un’altra Kapo. Poche ore dopo tornò “lamentando un terribile mal di testa, vertigini e convulsioni”. Alma morì infine il 5 aprile. Poiché non è stata eseguita l’autopsia sul suo corpo, la causa della sua morte è ancora sconosciuta. Senza di lei l’Orchestra non fu più la stessa. Venne nominata una nuova direttrice, Sonya Winogradowa, ma poco dopo i concerti domenicali furono cancellati. L’orchestra fu sciolta nell’ottobre 1944, quando le donne ebree furono inviate a Bergen-Belsen e le non ebree al campo principale di Auschwitz.

La parola finale è ancora una volta di Anita Lasker: “A parte i vantaggi evidenti, penso che la cosa più importante sia stata che, anche con la testa rasata e con un numero tatuato sul braccio, non avessi totalmente perso la mia identità. Pur non avendo più un nome ero ancora identificabile. Ero la violoncellista. Non mi ero dissolta nella massa grigia di persone uniformi e senza nome“.

Anita Lasker prima della guerra

Su Radio 3: Wikiradio – martedì 28 gennaio 2025 ore 14,00

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